“Il racconto in otto puntate dell’ascesa al potere di Benito Mussolini, dalla fondazione dei Fasci italiani di combattimento del marzo 1919, sino al discorso in Parlamento del 3 gennaio del 1925, in cui inizia ufficialmente la dittatura fascista.“

Introduzione (prima di M-Il figlio del secolo): Benito Mussolini al cinema e in tv
Il cinema e la televisione italiana si sono spesso confrontate nel corso dei decenni (a partire soprattutto dagli anni 70), sul più grande “trauma storico” della nostra Nazione, ovvero la figura di Benito Mussolini, raccontandone a volte le origini (sue e del movimento fascista) e l’inizio della dittatura (ufficialmente proclamata con il “delitto Matteotti”), altre volte gli ultimi giorni prima della sua fine (a cui si intreccia ovviamente l’epilogo del fascismo stesso, almeno in Italia), e più raramente episodi poco noti della sua vita privata, come le controverse relazioni sentimentali che hanno segnato il corso della vita del Duce.
Alla prima categoria appartengono “Il delitto Matteotti” (1973), celeberrima pellicola diretta da Florestano Vancini che, come suggerito dal titolo, narra l’omicidio del segretario del Partito Socialista Giacomo Matteotti (interpretato da Franco Nero) da parte degli uomini del Duce (a cui presta volto e corpo l’attore svizzero Mario Adorf), e la miniserie televisiva (3 puntate) “Il giovane Mussolini” (1993), una coproduzione internazionale (oltre all’Italia vennero coinvolte anche la Spagna e la Germania, mentre la serie venne girata principalmente a Praga, capitale della Repubblica Ceca) trasmessa su Rai 2, in cui il giovane Duce venne interpretato da un già affermato Antonio Banderas.
Gli ultimi giorni del regime e il declino della figura di Mussolini sono invece ben rappresentati da una pellicola come “Mussolini ultimo atto” (1974) di Carlo Lizzani, in cui ad interpretare il Duce è l’attore statunitense Rod Steiger, e un altra miniserie tv (sempre da 3 puntate), “Io e il duce” (1985), diretta da Alberto Negrin, anch’essa una coproduzione internazionale (i Paesi coinvolti furono, oltre al nostro, la Francia, gli USA, la Svizzera, la Spagna e l’allora Germania Ovest), narrata dal punto di vista di Galeazzo Ciano (un inedito Anthony Hopkins), genero del Duce (qui interpretato da un altrettanto inedito Bob Hoskins) nonché tra i suoi uomini più fidati, che però negli ultimi anni di vita del regime era divenuto sempre più critico nei confronti delle azioni del suo “superiore”, specie dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale (finendo per questo fucilato per “alto tradimento”).
Da menzionare infine “La lunga notte – la caduta del Duce”, un’altra e recentissima serie televisiva, uscita nel 2024 e compresa di 6 episodi, andata in onda su Rai 1, per la regia di Giacomo Campiotti, con Duccio Camerini nella parte di un Mussolini (e di un regime) ormai ai titoli di coda della sua esistenza.
Del lato più “intimo” e “privato” di Mussolini, e ai suoi altrettanti (ma meno conosciuti) scheletri nell’armadio, se ne occupa mirabilmente “Vincere” di Marco Bellocchio (2009), che narra dei complessi e controversi rapporti tra il Duce (interpretato da Filippo Timi), la sua prima moglie Ida Dalser (interpretata da Giovanna Mezzogiorno), e il loro figlio, Benito Albino Dalser, entrambi fatti rinchiudere in manicomio dallo stesso Mussolini.
Infine, una menzione va fatta per “Sono tornato” di Luca Miniero (2018), remake mediocre del film tedesco “Lui è tornato” (“Er ist wieder da“, 2015), in cui si immagina un “ritorno sulla Terra” del Duce (qui portato in scena da Massimo Popolizio) nell’Italia contemporanea, che incontra un regista televisivo intenzionato a girare un documentario su di lui (credendolo un attore comico sosia del dittatore), che finirà per fargli avere un nuovo “consenso” tra le masse…
Recensione M-Il figlio del secolo (il fascismo raccontato oggi)
E arriviamo così ad M-Il figlio del secolo (2025), l’ultima novità in termini di racconto su Mussolini e il fascismo, nonché (senza ombra di dubbio) la serie tv del momento (in termini di ascolti, discussioni e polemiche di ogni sorta, ma era inevitabile visto il tema trattato), andata in onda su Sky Atlantic dal 10 al 31 gennaio, dopo essere stata presentata in anteprima al Festival del cinema di Venezia il 5 settembre 2024.
Tratta dall’omonimo romanzo del 2018 di Antonio Scurati (vincitore del Premio Strega 2019), la serie è una coproduzione internazionale tra Italia, Francia e Inghilterra, sceneggiata a sei mani da Stefano Bises, Davide Serino e lo stesso Scurati, e diretta dal regista inglese Joe Wright (già autore di importanti adattamenti al cinema di grandi romanzi come “Orgoglio e pregiudizio” e “Anna Karenina”), e si colloca nel “filone” cinematografico/seriale sul “fascismo delle origini”: l’ascesa al potere di Benito Mussolini, dalla fondazione dei Fasci di combattimento, sino ad arrivare al noto “delitto Matteotti”.
Cosa differenzia dunque M-Il figlio del secolo dalle altre serie e dagli altri film sopramenzionati sulla figura del Duce? Cosa lo rende “speciale”, “interessante”, “controverso”? A far la differenza sono due dettaglia tanto semplici quanto efficaci: la messa in scena di Wright e il registro narrativo con cui si è scelto di approcciarsi alla materia.
C’è un motivo per cui questa serie è stata presentata al Festival di Venezia: la qualità visiva è davvero degna della miglior sala cinematografica più che dello schermo televisivo, con il suo montaggio frenetico e travolgente (di Valerio Bonelli), la fotografia quasi sempre virata su tonalità di nero, cupa come la storia che racconta (curata da Seamus McGarvey), e la regia dello stesso Wright, a metà strada tra l’ impostazione teatrale, così efficace nel suo modo di inquadrare i corpi attoriali (in ogni loro gesto compiuto, in ogni smorfia effettuata), e l’arte pittorica, con la cura maniacale per i dettagli dei luoghi, ricostruiti a Cinecittà, che produce quasi dei quadri in movimento (e lo si nota in special modo nelle scene d’azione più violente).
A contribuire in maniera efficace al risultato finale vi è anche la colonna sonora, curata da Tom Rowlands, membro del duo britannico di musica elettronica “The Chemical Brothers“, con il suo ritmo indiavolato che caratterizza ogni puntata, amalgamandosi perfettamente con il montaggio e creando così un connubio irresistibile, seppur al tempo stesso straniante, considerata la tragicità della vicenda.
Wright ha descritto la visione stilistica della serie come “un incrocio tra L’uomo con la macchina da presa di Dziga Vertov, Scarface di Brian De Palma e la cultura rave degli anni 90”. Le avanguardie dei primi del Novecento che si mescolano con la cultura dell’eccesso dei due decenni che oggi sono i più “assorbiti, omaggiati e replicati” dal cinema e dalla televisione contemporanea.
Al di là degli indubbi meriti tecnico/stilistici, la vera “rivoluzione” (almeno per quanto riguarda l’ambito televisivo nostrano) di M-Il figlio del secolo è, come precedentemente affermato, la scelta narrativa con cui si racconta il Duce e il fascismo delle origini, ovvero con un tono da commedia nera, acida e davvero “scorretta”, distaccandosi pesantemente dal testo di partenza dello stesso Scurati, e soprattutto decidendo quasi di optare per un one man show dello stesso Mussolini, che occupa praticamente la stragrande maggioranza delle inquadrature di ognuna delle 8 puntate della serie, prendendosi tutto lo spazio possibile per raccontare la storia delle sue “imprese/malefatte”.
Ma non si limita solo a questo, perché la vera “novità”, ciò che rende questa serie così apprezzata/discussa, è la rottura della quarta parete del Duce stesso, che parla a noi spettatori in prima persona, cercando continuamente di “sedurci”, con il suo linguaggio schietto, diretto e violento, esattamente come le azioni delle sue squadracce d’azione nei confronti degli oppositori al “progetto fascista”.
Intendiamoci, la rottura della quarta parete nel mondo del cinema esiste sin dagli albori della stessa settima arte, mentre anche nell’ambito seriale questo particolare espediente narrativo è stato già usato diverse volte, come ad esempio nella celeberrima “House of Cards“, con il personaggio di Frank Underwood (interpretato da Kevin Spacey) a raccontarci “faccia a faccia” dei suoi magagni politico/elettorali per fare carriera nelle alte sfere della politica statunitense, adottando ogni mezzo possibile, legale e non.
Il Duce di M-Il figlio del secolo, a differenza del “collega” americano, limita al meno possibile gli “spiegoni” allo spettatore sugli “ingranaggi della politica”, ma tenta principalmente di “coinvolgerlo” il più possibile nel suo piano per prendere il potere, puntando tutto sul suo carisma, sull’utilizzo delle parole “giuste, al momento giusto”, per sedurre la folla “popolare” formata da tutti quei delusi e arrabbiati con la politica “tradizionale”, portarli dalla sua parte, grazie all’arma della retorica, e nel frattempo fare il “doppio gioco” con i “padroni”, sbarazzandosi di tutta l’opposizione (da sinistra) a lui, e a quella stessa classe dirigente, scomoda.
Nel corso delle puntate il Duce dirà e farà tutto e il contrario di tutto, cambierà fazioni, tradirà alleanze, ingannerà la giustizia, così come i suoi stessi familiari e i suoi stessi “camerati/amici”, ma questo deve sorprenderci fino ad un certo punto, perché nella sua apparente incoerenza, Mussolini rimane “coerente” fino alla fine nell’unico obiettivo che sin dall’inizio si è prefissato: la conquista, con ogni mezzo, del potere, del prestigio, dell’autorità.
Tutto questo crea inevitabilmente nello spettatore una sorta di “attrazione fatale” per il Mussolini narratore, che però diventa ben presto repellente, una volta che alla seduzione delle parole segue pedissequamente la violenza dei fatti. Da qui diventa molto chiara l’influenza dei già menzionati “Scarface” di De Palma e del Frank Underwood di “House of Cards“, ovvero personaggi moralmente ambigui e disprezzabili, con cui però lo spettatore ha un rapporto di “seduzione straniante” nel vederne le malefatte, per il modo in cui vengono portati in scena dai rispettivi autori, salvo poi pentirsene dopo poco tempo.
Questo in M-Il figlio del secolo viene però portato alle estreme conseguenze, sia perché se il gangster interpretato da Al Pacino e il personaggio di Kevin Spacey sono nel bene e (soprattutto) nel male personaggi “verosimili”, il Duce fa parte della Storia, per giunta della nostra Storia, così come tutti quei crimini da lui commessi: il contrasto tra il Mussolini di questa serie, costruito come se fosse quasi una macchietta fumettistico/teatrale, così divertita e divertente nella sua spietatezza, e le azioni/malefatte da lui, e dai suoi uomini, compiuti, è netto, spiazzante e lacerante, per lo spettatore che lo osserva.
Il modo in cui una parte fondamentale della nostra Storia viene raccontata dagli autori della serie sarà pure perfettamente discutibile (ed è giusto che faccia discutere, crei dibattiti, interazioni, “smuova le acque” del pensiero critico, cosa raramente accaduta per una serie tv nostrana), ma bisogna tenere bene in mente il target di pubblico a cui precisamente questa serie si rivolge: i millennials, la generazione Z, coloro cresciuti con i new media incollati addosso sin dall’infanzia, gli smartphone e i social network.
Per avere successo su quella parte di pubblico, su quella “fetta di mercato”, realizzare una serie troppo didascalica nell’approccio tecnico/narrativo alla materia trattata si sarebbe rivelato un suicidio commerciale. Invece gli autori di M-Il figlio del secolo hanno legittimamente optato per un approccio più diretto, senza filtri, maggiormente “movimentato”, portando in scena un Mussolini che si comporta (si perdoni l’iperbole) quasi come un influencer di TikTok o uno youtuber di successo con migliaia di followers.
Ma non è forse il modo in cui oggi è cambiata (nel bene e nel male) la comunicazione politica oggi? Con politici che si trovano ad essere sempre più content creator e super star dei/nei social media, anch’essi alla ricerca di consenso tra i giovani d’oggi? È esattamente così, è la scelta di rappresentare il Duce in questo modo, pur se a tratti può risultare risibile, è incredibilmente efficace nella riuscita di un prodotto così (anche qui, nel bene e nel male) contemporaneo. Forse è davvero questo il modo migliore (l’unico?) di raccontare il fascismo nel 2025?.
Va fatto, prima di concludere l’analisi, un plauso agli attori della serie (tutti in gran spolvero), in particolare al migliore di tutti, Luca Marinelli, che si cala nei panni del giovane divo/influencer/aspirante dittatore Benito Mussolini, in una maniera che va oltre la semplice “mimesi” (per realizzare una parte così “ambiziosa” è ingrassato di 20 chili e si è rasato parte della testa, oltre a stare sempre in scena con ampie dosi di trucco), in cui l’essere sempre e comunque sopra le righe, riesce a far uscire la vera natura ambivalente del Duce.
Il risultato finale è quello di una serie grottesca e debordante nei toni, sempre in bilico tra tragedia e commedia, in cui nella maggior parte degli episodi si ride a denti (molto) stretti, ma in fondo, per quanto il personaggio di Mussolini faccia volutamente tutto per creare una sorta di straniante empatia con gli spettatori, la Storia è lì a ricordarci che di fronte a quegli orrori perpetrati (specie nell’episodio finale, quello dell’uccisione di Matteotti), c’è ben poco da ridere, ma solo da rimanere (legittimamente) indignati per quanto si poteva fare, e non è stato (volutamente) fatto per fermare quella spirale di violenza, che si sarebbe poi trasformata in regime.